2015/11/05

IPAZIA Alessandrina e lo scontro con il Cristianesimo

Ipazia Alessandrina

Mondo Cattolico e Greco-romano    
a confronto

Il vescovo Cirillo
e la purificazione dal Male

Lo scontro

                                                                         di Gino Carbonaro




Le colpe di Ipazia
    
    Ipazia, era nata ad Alessandria d’Egitto nel 370 d.C. Era figlia di Teone (335-405),[1] matematico, fisico astronomo,  e rettore del Muséion.

    Ipazia, che pur essendo donna aveva seguito la strada del padre e gli studi all’interno del Muséion, faceva notare ai cristiani della sua città che Platone, Socrate e altri filosofi greci del passato avevano enunciato principi etici sostanzialmente identici a quelli predicati da Gesù. Dunque, secondo lei, era possibile trovare punti di contatto per una convivenza pacifica con le altre comunità religiose di Alessandria d’Egitto. Lo scrittore Celso, nel suo “Alethés logos” (Discorso sulla verità) riporta alcune delle pagine nelle quali Platone[2] parla di un Dio “Primo Bene” che “non può essere descritto a parole, ma nasce all’improvviso nell’anima, come una luce accesa da una scintilla che vi sia balzata”.[3] 

     Certamente il punto di vista di Platone era quello di un filosofo che non prometteva la salvezza nell’aldilà, non predicava miracoli, non pretendeva una preventiva professione di fede dai suoi discepoli. Platone insegnava. Non predicava. E non poteva dire: “Dio è così e così, Dio ha creato questo e quello, Dio ha un figlio che ha fatto fare a una donna vergine, Dio ha mandato suo figlio a parlare con gli uomini, e soprattutto non imponeva. E non aggiungeva: “Tu devi credere a quello che dico io perché io detengo la verità”.[4]  Nelle sue considerazioni Platone procede sempre alla luce della ragione e sviluppa di necessità una catena logica consequenziale e discorsiva, mentre i Cristiani fissano concetti, e non provano i contenuti della loro dottrina. 

     Cionondimeno, esigono fede cieca e accettazione su tutto ciò che è scritto nella Bibbia o predicato da qualche autorevole uomo di religione.  Eppure, il messaggio di Platone non entra in dirittura di collisione con quello di Gesù. Tutt’altro. Difatti, le considerazioni di Gesù contro i ricchi si colgono in bocca anche a Platone, quando il filosofo greco afferma che “è impossibile essere particolarmente buoni ed eccezionalmente ricchi”.[5] Verità che scaturiscono da un’etica che rappresenta il fiore della logica. Platone e con esso Gesù, non enunciano verità discese dal cielo. In particolare, Platone non impone il concetto “se vuoi salvarti devi credere a quello che dico io, altrimenti vattene”. Questa non sarebbe filosofia. Per non dire che già cinque secoli prima di Cristo, Platone aveva sostenuto il principio di “porgere l’altra guancia ad ogni forma di violenza o di ingiustizia”.[6]
   
   La soluzione per un possibile incontro e una pacifica convivenza fra Ebrei, Greci e Cristiani sul problema religioso avrebbe potuto essere possibile, ma il fanatismo iniziatico dei Cristiani creava una barriera insormontabile. Il dictat dei cristiani era categorico: “O con noi in tutto, o contro di noi. E voi? Dovete accettare quello che diciamo noi”.[7] In caso contrario verrà applicato il diritto. Ovviamente, il diritto della forza, in ogni caso e comunque. E Ipazia verrà aggredita, per essere offerta in sacrificio al Dio dei cristiani, immolata all’interno di una Chiesa, in preda a furore iconoclasta che scaturiva dai monaci parabolani, polizia personale di Cirillo, vescovo di Alessandria d’Egitto. Vendetta! Contro tutte le Eve del mondo. E i suoi resti, infine, gettati nell’immondezzaio pubblico.
     La logica che presiede a questo omicidio? “Tu donna, sei creatura di Satana, sei melma, e nella melma devi finire”. Nel contempo verrà ridata alle fiamme la preziosa Biblioteca di Alessandria d’Egitto, che custodiva il sapere storico dell’umanità. Il sapere laico frutto della intelligenza e della logica umana. Era cominciata la vera guerra contro Satana e contro la Donna.  Da questo tragico evento ha inizio un tenebroso Medioevo.



L’uccisione di Ipazia nella testimonianza
di Socrate Scolastico,
vescovo cristiano e storico della Chiesa

     Era il mese di marzo del 415, e correva la quaresima. Un gruppo di cristiani «dall'animo surriscaldato, guidati da un lettore di nome Pietro, si misero d'accordo e si appostarono per sorprendere la donna mentre faceva ritorno a casa. Tiratala giù dal cavallo, la trascinarono fino alla chiesa che prendeva il nome da Cesario. Qui, strappatale la veste e denudatala, la uccisero usando affilati cocci di conchiglia. Dopo averla squartata e fatta a pezzi. Membro a membro, trasportarono i brandelli del suo corpo nel Cinerone, immodezzaio pubblico, e ne cancellarono ogni traccia bruciandoli. Il luogo e le modalità della morte di Ipazia esprimono simbolicamente le idee dei cosiddetti cristiani: “Tu sei spazzatura e nella spazzatura devi morire. Questo procurò non poco biasimo a Cirillo e alla Chiesa di Alessandria. Infatti, stragi, lotte e azioni simili a queste sono del tutto estranee a coloro che meditano le parole di Cristo.
  
     Ipazia Alessandrina è stata vittima di una violenta misoginia e di un comportamento ritenuto trasgressivo agli occhi di un gruppo di “Parabolani”, estremisti cristiani facenti parte di una confraternita guardia del corpo armata del Vescovo di Alessandria di Egitto, e per questo crudelmente assassinata per mano di fanatici dell’epoca che consideravano fuori da ogni logica il fatto che una donna poteva pensare in proprio, avere sue idee, proporre una filosofia dell’esistere diversa da quella cristiana e avere discepoli che la rispettavano, e seguivano le sue lezioni. Se Ipazia fosse stata cristiana e soprattutto cattolica, “forse” avrebbe potuto aspirare a diventare santa.

     Invece, Santo e Dottore dell’Incarnazione è stato eletto il vescovo Cirillo,  da Papa Leone XIII il 28 luglio 1882, quel vescovo che era stato l’indiretto (o diretto) responsabile dell’omicidio di Ipazia, così come denuncia lo storico Socrate Scolastico (allievo di Ipazia) a cui la Maestra aveva insegnato a considerare la filosofia «uno stile di vita, una costante, religiosa e disciplinata, per la ricerca della verità».
     Per la magnifica libertà di parola e di azione che le veniva dalla sua cultura, Ipazia interloquiva in modo assennato anche con i capi della città, e non era motivo di vergogna per lei lo stare in mezzo agli uomini. A causa della sua straordinaria saggezza e preparazione filosofica tutti la rispettavano profondamente e provavano verso di lei un timore reverenziale. Ipazia era sciolta nel parlare, accorta ed equilibrata nelle azioni. Tutta la città a buon diritto la amava e la rispettava grandemente. Anche i capi, ogni volta che si prendevano carico delle questioni pubbliche, erano soliti recarsi prima da lei. Così, come ad Atene era abitudine dei politici di consultarsi con i filosofi prima di prendere una decisione importante. Anche se la filosofia del IV e V sec. era in crisi,  ad Alessandria il nome di Ipazia restava degno di stima e di ammirazione per coloro che amministravano gli affari più importanti del governo».
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(*) Socrate Scolastico, op. cit., Libro VII, cap. XV, p. 67/71.




[1] Teone aveva scritto un saggio sull’“Astrolabio piano” e ricopiato gli “Elementi di Euclide” e “L’Almagesto di Tolomeo”.
[2] Celso, p. 139 su Platone Ep.7, 341 c-d-b, Corriere della sera.
[3] Sembrano parole di un illuminato Zen,
[4]  Ed era quello che aveva predicato Paolo, Epistole VI, 9
[5]  Le parole di Gesù in Mt. 19,24; Mc. 10,25;  L. 18,25; la frase di Platone in Leg. 743a.
[6] Platone, Critone, 49 d-e; cfr. Mt. 5,39; L. 6,29).
[7] Celso, p. 139 su Platone Ep.8, 340 d, Corriere della sera.

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