2013/08/30

Importanza del sorriso


Il sorriso, chiave del successo


                                                          di Gino carbonaro


Il viso è lo specchio dell’anima. Tristezza, dolore, angoscia, paura, simpatia si possono leggere sul viso degli uomini. Fra tutte le espressioni del viso, il pianto e il sorriso sono i più significativi. Il primo esprime disagio, sofferenza, dolore, il secondo esprime la gioia di vivere.
   
Se a nessuno piace stare accanto a uno che ha una faccia da funerale, trasmette una verità il proverbio cinese che recita: “Se non sai sorridere non aprire un negozio”. Come dire che se non sai sorridere, non puoi instaurare un rapporto positivo con gli altri. E tutta la vita, si sa, è un continuo rapportarsi con gli altri.


Il sorriso è ammaliante. Misterioso. Anche perché non si riesce a coglierne l’essenza. Magico ancora perché innesca forte empatia fra persone che in uno scambio di sorrisi sono portati a sentirsi a proprio agio. Per questo si elogia una bella ragazza o un bel giovanotto dal sorriso smagliante. Giovinezza. Che nel sorriso gioisce e reclama la primavera della vita.


Il sorriso è segnato da una particolare postura delle labbra e delle guance, ma in realtà è rivelato da ciò che esprimono gli occhi che si illuminano per comunicare un messaggio gentile, una disponibilità, un possibile rapporto all’insegna della lealtà, della sincerità, della amicizia. Ed è proprio un sorriso amabile quello che allenta i meccanismi di difesa delle persone.


    Il proverbio cinese registra, dunque, una fondamentale verità dei rapporti umani. Se due persone non si accettano, l’espressione dei loro occhi sarà dura, fredda, tale da rivelare sentimenti di ostilità dichiarata, riuscendo a trasmettere il senso di un disprezzo, di una ostilità dichiarata.


  In psicologia, il sorriso viene considerato un meccanismo “propriocettivo” che fa parte del DNA, dunque dell’iniziale programma umano per esprimere gioia e benessere. Tanto si rileva nel bambino a pochi mesi dalla nascita. Sorriso come espressione di gioia di vivere e di amore nei confronti dei genitori, e di ciò che lo circonda. E tutti accolgono il candore di quel sorriso con altrettanta gioia- che-ricambia-gioia, e rinfranca lo spirito.


“Il sorriso fa buon sangue”, recita un proverbio nostrano. Il sorriso è termometro che misura stato d’animo e carattere di una persona, ma è anche termostato che modifica in meglio gli umori delle persone.


Si incontra un amico che ci chiede: “Come stai?” E, noi col sorriso sulle labbra rispondiamo: “Bene, grazie, e tu?”. Quella esternazione naturale e quel sorriso d’obbligo aprono il rapporto, lo suggellano, lo pongono su un letto di piume, mentre lo spirito sprigiona una carica gioiosa.


Necessario sorridere soprattutto negli uffici. Nei luoghi dove i rapporti umani sono intensi. L’impiegato che cerca gli occhi del cliente appena entrato nel negozio accogliendolo con un sorriso, la cassiera che nel registrare la spesa regala un sorriso al cliente, esprimono comportamenti che sono indice di rispetto, di gentilezza, di professionalità.


 Un antico proverbio celtico recita: “Sorridi e la vita ti sorriderà. Piangi e piangi solo”.


                                            Gino Carbonaro

gino.carbonaro.italy@gmail.com

2013/08/26

Maya - Una storia di vita e di morte

Maya. 
Una storia di vita e di morte 

Maya. Caso di avvelenamento  
del nostro Pastore Tedesco 
e l'aiuto del dr. Gianni Elia

I fatti


Ragusa. Sabato 24 agosto 2013.


Dopo pranzo sono sceso nella “Stanza dei Topi”.
La chiamiamo così perché da tempo è una delle camere che i tenaci e prolifici roditori hanno eletto a Residence.


Per questo, da mesi, avevo ritenuto di dover derattizzare l’ambiente collocando sul pavimento cialde di esca avvelenata. Dal che alcune mie considerazioni.


La prima, che le cialde dovevano essere gustose, perché in poco tempo venivano divorate. La seconda considerazione mi faceva dire che i topi dovevano essere non pochi se chilogrammi di cialde venivano divorate nell’arco di poche notti.


Da qualche tempo, però, i topi non mangiavano più le cialde. Da ciò ero portato a fare altre considerazioni. O i topi erano morti (tutti) senza lasciare eredi. Oppure, gli attenti  roditori avevano imparato a non avvicinarsi alle (per loro) pericolose cialde. Cu’ si vardàu si sarvàu, recita un saggio proverbio siciliano, che loro (i topi) certamente conoscevano.


Questo pomeriggio, come dicevo, sono sceso giù per rendermi conto della situazione. Aperta la porta, rilevo che una sola cialda, che avevo collocato sul pavimento era intatta.


Mentre mi muovevo fra i mobili per ispezionare, mi accorgo che nella stanza con me era entrata a mia insaputa la nostra cagna Maya. In contemporanea mi accorgo che sul pavimento mancava la cialda che avevo appena intercettata, e tornando a guardare Maya, ho l’impressione che si stia leccando le labbra. Era segno che la cialda l’aveva appena ingoiata proprio lei.


A questo punto scatta l’allarme rosso. Emergenza. Nello scompiglio del cervello che sembra scoppiarmi, considero che Maya è a rischio di morte. Che fare? Erano le 15,35. Penso di rivolgermi al nostro veterinario, dr. Carlo Pappalardo? Telefono, ma non risponde nessuno, neppure la segreterìa telefonica, in genere molto attiva. Mi sovviene che è sabato pomeriggio di un fatidico mese di agosto a ridosso della Festa di San Giovanni, e penso che il nostro VET potrebbe essere in ferie. Altro veterinario? La nostra amica Valeria Azzara. Ma il suo cellulare non è raggiungibile. Disperato, telefono al pronto soccorso dell’Ospedale Civile di Ragusa. Proprio quello degli umani. Risponde “all’istante” un infermiere molto gentile al quale spiego la situazione e chiedo se può darmi un aiuto. L’infermiere mi passa un medico, che mi passa un altro medico, che si informa con qualcuno. Alla fine mi viene fornito il numero di cellulare del Pronto Soccorso Veterinario Provinciale. Ringrazio e mi precipito  a telefonare al Pronto Soccorso Veterinario estivo. Purtroppo risponde la segreteria telefonica. Lascio un messaggio. Ma che fare? Che fare? Il tempo inesorabile avanza. Diventa il mio/il nostro nemico. Claire, mi sta accanto, mi guarda in silenzio, quando  ha una illuminazione. Suggerisce di telefonare al nostro supermedico personale. Al dr Gianni Elia. Telefoniamo e miracolo (!) risponde subito. Spieghiamo il caso. Mi chiede di leggere sulla confezione se il prodotto (veleno) è composto con “dicumalorici”. In questo caso bisogna usare vit. K come antitodo. Io leggo. Intercetto il termine. Intanto il dr. Elia mi suggerisce di far vomitare il cane. “Con che cosa? E come?” Io chiedo. La risposta: “Fare ingoiare al cane un bel bicchiere di acqua ossigenata, poi andare immediatamente in ospedale dove lui mi avrebbe fatto trovare un infermiere che mi avrebbe fornito fiale di vit. Kappa.


Prima di partire per l’ospedale, Claire ed io cerchiamo in casa l’acqua ossigenata. Altra fortuna vuole che ce l’abbiamo. Ne abbiamo l’equivalente di un bel bicchiere.
Io metto i guanti. Apro la bocca di Maya, mentre la tengo stretta fra le mie gambe. Claire riempie una grande siringa con acqua ossigenata e giù nella gola di Maya, che recalcitra. Subito dopo in Ospedale. Qualcuno, si fa trovare alla porta dell’Ospedale. Mi fornisce le fiale. Ringrazio e giù  di nuovo a casa. Di corsa. Qui la bella notizia. Maya ha vomitato. Fra il vomito bianco ancora effervescente dell’acqua ossigenata, si vede la bustina della cialda. Quindi iniezione intramuscolo di vit. kappa e attesa.


Il dr. Elia, intanto ci telefona per sapere, mentre ci rende edotti che i “dicumalorici” provocano emorragia, visibile nel bianco degli occhi che diventano scuri e nelle gengive che potrebbero sanguinare. Ora, dopo la iniezione intramuscolo che gli faccio io stesso, comincia l’attesa. Ma.. altra fortuna.. la mattina seguente gli occhi di Maya sono bianchissimi. Le gengive sono magnifiche. Telefoniamo di nuovo al medico che ci consiglia un’altra mezza fiala di vit. K. (Konakion) per via orale. Giusto per mettersi al sicuro.


Ora, nella continua lotta per la vita abbiamo vinto una battaglia. Grazie al supporto di un medico sostenuto da una forte passione per il suo lavoro, da un impianto etica raro, di un medico che nei confronti di un problema di vita e di morte si dispone con tutta la sua umanità, professionalità e preparazione. Sia nei confronti  dell’uomo, che nei confronti degli amici degli uomini. Che sono creature di Dio. Questa testimonianza vuole essere documento che segnala un evento nobile, e per noi, per Claire e per me, segno di un obbligo di riconoscenza nei confronti del giovane medico dr. Giovanni Elia.


                             Claire Thomson  & Gino Carbonaro

24/25 agosto 2013

2013/08/24

Serafino A. Guastella, Saggio n. 2





Fra etnologia e poesia
Nel centenario della morte di S.A. Guastella



Era un genio e non l'abbiamo capito





Cade quest'anno il centenario della morte del barone chiaramontano Serafino Amabile Guastella,  uno dei più interessanti intellettuali dell'800. Demopsicologo-etnologo, antropologo ante litteram, per i suoi interessi rivolti allo studio dell'uomo e delle sue forme culturali;  ma anche storico, per il fatto che registra uno spaccato di vita di un popolo, e,  soprattutto, scrittore e poeta di respiro europeo, per le modalità con cui ha registrato tutto quanto attiene allo studio delle tradizioni popolari, cogliendolo dalla viva voce dei popolani.
Fra le sue opere, tutte fondamentali per lo studio del nostro patrimonio culturale, ricordiamo i Canti popolari del circondario di Modica (1876), opera preziosa, per il saggio introduttivo storico-etnologico di ben 130 pagine, dove è descritta Modica agli inizi dell'800, e il modo di vivere della sua gente. E' qui, che descrive l'interno di una povera casa dell'epoca, e di seguito riferiti  usi, costumi, tradizioni, superstizioni del popolo.
Questo  saggio-prefazione, di taglio storico, va considerato il manifesto programmatico di S. A. Guastella. Con questo, l'Autore sostiene che ogni canto, ogni proverbio, e comunque il materiale che andrà raccogliendo, sono parte di una struttura economica e sociale; per questo non vale registrare i prodotti culturali decontestualizzati, senza conoscere prioritariamente le condizioni economiche e sociali del popolo: ed è forma di strutturalismo[1] ante litteram.
Solo dopo aver preso coscienza del modo di vivere del popolo - sostiene Guastella - dopo aver capito quando e quanto mangia, allora, sarà possibile comprendere qual è la sua filosofia della vita, e il prodotto della sua cultura. Ovviamente, il termine cultura[2] va inteso in una accezione squisitamente antropologica.
Nel 1877,  pubblica  L'Antico Carnevale della Contea di Modica, un secondo saggio storico, che fu considerato una novità per la originalità del tema e per la novità del linguaggio. Sappiamo che, a tutt'oggi, il Carnevale è stato studiato da pochissimi, e questo di S.A. Guastella resta tuttora un libro fondamentale per chiunque sia  interessato alla comprensione e all'approfondimento dell'affascinante mondo carnevalesco.
Nell'Antico Carnevale della Contea di Modica, Guastella analizza, con obiettività scientifica, il capovolgimento dei comportamenti nel popolo, in quell'unico giorno dell'anno durante il quale tutta l'umanità vive un periodo di tregua concordata, un momento di gioia collettiva e  l'illusione di una impossibile felicità che non esiste.
Cinque anni dopo, nel 1882 pubblica il Vestru, Scene del popolo siciliano, un poemetto in versi composto da 59 sestine in endecasillabi, un gioiello letterario, storico ed etnologico a un tempo, ma anche un capolavoro di autentica poesia: una sorta di biografia raccontata da Vestru [3],  uno sventurato popolano,  che narra le sue sventure, la sua geremiade di figlio di un Dio minore.
L'opera si compone di due parti. La prima in versi, che è poi quella che dà il nome all'opera, composta di poco meno di 20 pagine; la seconda parte, costituita da 24 interessantissime schede, che riportano documenti registrati dalla viva voce della gente, ma ricostruiti dalla penna creativa del Guastella. Si tratta di veri e propri quadretti di vita popolare, che riportano magistralmente abitudini, superstizioni, storie e modi di pensare del popolo siciliano.
Due anni dopo, nel 1884 pubblica  Le Parità e le storie morali dei nostri villani (1884). Anche quest'opera divisa in due parti. La prima, costituita da una sorta di  saggio-affresco in lingua; la seconda, quasi un'appendice, contiene, sul modello del Vestru, 25 schede in dialetto, sempre risultato di interviste fatte a popolani, con la tecnica di un fotoreporter-artista. Scene di vita, ma soprattutto apologhi[4], verità sapienziali  che il popolo definiva "Parità", una sorta di Bibbia che illumina le scelte e le decisioni del popolo e che implicitamente  riflettono la sua religione. 

E' in queste schede che il lettore registra l'amara filosofia dell'esistenza del popolo siciliano, le  crude verità  che definiscono senza illusioni la realtà della vita, e la quotidiana lotta per la sopravvivenza. E' nelle confessioni di una vecchietta o di un contadino che è possibile cogliere la morale del popolo, le amare considerazioni di chi disconosce le verità ufficiali, sbandierate dalla classe dominante, verità che da sempre sono servite ai preti e ai nobili per tenere calmo e sotto controllo il popolo, che vive agli antipodi del mondo in una terra non illuminata dalla luce del Vangelo.
Documenti importantissimi, per noi, perché ci offrono uno spaccato storico e culturale di un'epoca, che ci fa conoscere le condizioni di vita e le forme mentali del siciliano di una volta, ma, soprattutto, le sue considerazioni sulla  giustizia, sulla nobiltà, sul mondo dei preti e sul modo con il quale Dio aveva inteso fare questo mondo ingiusto.
   Il metodo usato da Guastella, in linea con le più avanzate metodologie di ricerca dell'epoca, ritrascrive fatti narrati in una lingua antica, dalla potenza vichiana, ne deriva che, in un sol colpo il Guastella è storico del popolo, ma soprattutto poeta epico di un popolo di cui si è fatto voce e di cui si sente parte.
Ma, a leggere con attenzione all'interno delle storie narrate, dopo che avremo compreso meglio nel nostro Autore anche l'educazione illuministico-libertaria che gli derivava dal padre Gaetano Guastella y Schiuoller, e dalle letture giovanili fatte nella ricchissima biblioteca paterna, potremmo anche scoprire che tutte le opere di S.A. Guastella vanno lette anche in chiave etico-politica, quella che denunzia soprusi, diseguaglianze sociali, malversazioni dei deboli, arroganza, sofferenze, ingiustizie quotidianamente perpetrate da una classe sociale ai danni di un'altra, e indicano, come avrebbe detto il padre Gaetano, la strada "Per volgere in meglio le industrie in Sicilia", e dunque, per modificare in meglio la società. In questo, Serafino Amabile Guastella manifesta il suo fondo etico e la sua vocazione di educatore.
Paradossalmente, però, quest'uomo, così ricco mentalmente e spiritualmente, per circa un secolo è stato misconosciuto, e perciò trascurato dalla critica ufficiale e dalla Provincia che ancora trova difficoltà a credere di aver dato i natali a un grande scrittore.
Per questo, a distanza di cento anni dalla sua morte, riteniamo  sia giunto il momento di definire il ruolo e la figura di questo intellettuale; intervento indispensabile, se si pensa che, dal momento della sua morte sino alla fine degli anni Sessanta, i libri e l'opera del nostro Autore sono stati avvolti in una coltre di silenzio, dimenticati e misinterpretati, per una serie di motivi che vale la pena di elencare:

1. Primo, perché nessuno è grande in patria;

2. Secondo, perché la maggior parte delle opere di S.A. Guastella sono scritte in "lingua" siciliana, e questo crea non poche difficoltà al lettore. Si aggiunga ancora che da  italiani-ben-programmati, ognuno di noi considera scrittori  di serie B tutti coloro che scrivono in dialetto, e capiremo il perché Guastella sia rimasto autore non letto più che autore non conosciuto; pregiudizio gravissimo che ha colpito  tanti grandi autori prima di lui, da Giuseppe Gioacchino Belli a Carlo Porta.  
3. Terzo. Per decenni, S.A. Guastella è stato percepito come raccoglitore di cose banali: proverbi, ninne nanne, indovinelli e modi di dire popolari, e nel migliore dei casi posto sullo stesso livello dei vari Salomone-Marino, Lionardo Vigo e del gruppo di ricercatori palermitani che facevano capo al Pitré, ricercatori grandissimi, che nella seconda metà dell'800 hanno raccolto, una quantità enorme di materiale etnologico, ma che solo in parte hanno da spartire con l'eccelso narratore chiaramontano. Errore gravissimo questo accostamento, che  ha distorto la figura del Guastella riducendone il merito, sino a farlo percepire alla stregua di un ragioniere della cultura. Motivo? è stato adottato per il nostro un parametro di giudizio quantitativo-storico, piuttosto che quello qualitativo-estetico: misura a peso, insomma, che è la stessa che usarono due soldati greci che avendo rotto una statua di Prassìtele durante il trasporto, si fecero carico di restituirne al proprietario una di "uguale peso"; e, ancora oggi, purtroppo, pare, non si sia riusciti a superare questa modulo "quantitativo".
Solo pochi intellettuali, a tutt'oggi ne hanno compreso la grandezza e hanno cercato di gridarlo agli altri. Fra questi ricordiamo Vanni Interlandi, un allievo e collega di S.A. Guastella, che dopo la morte dell'insigne studioso, pubblicò a proprie spese una sorta di necrologio in memoria del maestro, a cui diede il titolo di "Compilazione" riportando in essa i giudizi di illustri studiosi dell'epoca, che lo avevano conosciuto e apprezzato. L'altro grande scrittore che ne ha tessuto gli elogi a piene mani è stato  Italo Calvino che nella introduzione alle "Parità Morali" edito da Rizzoli e in quella della Regione disse cose che non sono state ancora recepite dalla critica. L'altro grandissimo che ne ha colto la genialità è stato il nobel Dario Fo che della "Parità Morali" intuì la grandezza e ne trasse ispirazione per il suo "Mistero Buffo". Chi legge il Mistero Buffo o in parallelo Le Parità di S.A. Guastella coglierà subito che le due opere hanno colto la stessa idea della vita, la stessa filosofia, lo stesso spessore e la stessa tensione culturale, né l'uno è meno dell'altro.
Pitré , nella lettera che funge da necrologio, ne misurò la grandezza, definendo le sue opere ..

"Lavoro d'arte, di etnografia e di storia, .. e dico storia.. perché  testimonianza della vita fisica e psicologica dei contadini, anzi del popolo della Contea"...

Anche se ancora oggi sfugge alle classificazioni della critica, potendo essere classificato a seconda del punto di vista dell'osservatore scienziato, per la scrupolosa metodologia di ricerca intesa a non falsare mai le informazioni; demopsicologo, quando scandaglia l'animo tutto del popolo; scrittore verista ante litteram, se si guarda alla forma e al contenuto del racconto; sociologo, proprio perché costantemente attratto alla problematica sociale e a certa dinamica di gruppo; antropologo in quanto registra dati riferiti alla cultura del popolo; filosofo, per le considerazioni che ci consente di fare sulle amare verità dell'esistere; uomo politico, sulla stregua del padre Gaetano, perché la sua è anche  denunzia sociale contro l'ingiustizia perpetrata da chi possiede e ha potere, nei confronti di chi (carne che soffre),  sopravvive schiacciato dall'egoismo di chi detiene il potere. Educatore e moralista, sopra ogni cosa, perché indica a chi vuole vedere, ciò che è errato….
 
Ma chi era S.A. Guastella?


Era un nobile, un barone, un intellettuale, nato in una famiglia fortunata per avere avuto in sorte il giusto genitore. Personaggio di perfetta cultura, capace di produrre concetti liberi da mode e pregiudizi. In questo, concorre la natura e l'occasione offertagli dal modello paterno, il dottissimo erudito, dalla cultura ampia e profonda, il barone Gaetano Guastella y Schiuoller (il secondo cognome è della madre svizzera). Se non disturbano i confronti, Serafino Guastella, come Leopardi, utilizza la immensa e fornitissima biblioteca paterna per mettere a punto la sua cultura.
* * * 

A tanto pervenne riportando fedelmente tutto ciò che faceva parte del patrimonio culturale della gente del popolo. In pratica ne rilevava la filosofia, mi si lasci passare il termine, la morale che non era quella bigotta e formalistica della classe dominante; rilevando le condizioni di vita dei poveri sempre in lotta contro lo spettro della fame, sempre a interrogarsi a modo loro sul senso della vita, sul concetto di giustizia sul perché delle disparità sociali, su come il mondo fosse stato costruito da Dio e sul perché alcuni fossero nati per soffrire (i poveri e "minori") mentre ad altri fossero dati il benessere e il vivere senza problemi (i ricchi e "maggiori"). Ne viene fuori uno spaccato di storia sociale, sui modi di vivere e sulla capacità di soffrire della classe subalterna (perché non è storia solo quella che parla di battaglie e di dinastie e trattati di pace). Insomma, ne viene fuori una radiografia culturale di un'epoca.
Prima di quella data, se si eccettua una edizione delle opere giovanili fatta nel 1935 primi degli anni settanta, nessuno si fece  sulla sua opera era caduta la coltre del silenzio e solo pochissimi lettori, proprietari di qualcuna  in privato . Conosciuto soprattutto dagli studiosi si Tradizioni popolari e dai Docenti universitari che detenevano la cattedra di lingua e letteratura siciliana, si conosceva più il nome seguito dal pomposo quanto deformante appellativo di Barone dei villani. E comunque, pochissimi ne conoscevano l'opera, e ne sapevano valutare lo spessore culturale,  
ma soprattutto per far conoscere l'opera a un pubblico sempre più ampio, e continuare gli studi per definirne sempre di più la figura, il suo spessore culturale, e il suo ruolo nella storia delle nostra tradizioni e della cultura siciliana nella seconda metà dell'800.



Il Comune di Chiaramonte, che gli ha dato i natali, il 6 febbraio 1819 e quello di Modica, che per un quarto di secolo lo ebbe docente di Italiano, per chiara fama, presso il Liceo Ginnasio "T. Campailla", si attivano nel centenario della sua morte per festeggiarne la memoria, ma soprattutto per promuoverne gli studi al fine di definirne sempre di più la personalità,  lo spessore culturale, il ruolo nella storia delle nostre tradizioni popolari, la sua posizione nel quadro culturale della seconda metà del XIX sec. Ma lo scopo principale è quello di capire se dobbiamo continuare a considerarlo solo un demopsicologo, cioè un passivo "raccoglitore-ritrascrittore" di materiale etnologico, alla stregua di un rigattiere-antiquario che raccoglie quanto ritrova di antico per riempire il suo negozio, oppure, si tratta di un osservatore geniale che ha compreso la ricchezza del meraviglioso patrimonio che custodito dal popolo, e ne fa rivivere nel racconto creativo anche l'anima.

                                                                      Gino Carbonaro
Appendice

Avevo poco più di quindici anni, quando mi trovai a vivere una esperienza molto interessante. Ero andato, ricordo come fosse ieri, a comprare qualcosa in un negozio vicino casa mia , e trovo davanti a me, di spalle, un capannello di persone strette fra loro. Da dietro il bancone, il titolare del negozio, leggeva qualcosa su un libro, e gli altri, cioè i clienti, stavano ad ascoltare in religioso silenzio. Questa scena, certamente inusitata, mi colpì, e visto che nessuno si era accorto di me, fui costretto a seguire anch'io la lettura e, come gli altri, rimasi, come d'incanto, coinvolto. La storia che l'uomo del negozio stava leggendo era un brano del Vestru di Serafino Amabile Guastella, e precisamente quello riguardante il racconto del Massaro modicano che viene colto da un temporale, mentre si trova nei pressi di Avola. Il passo del brano che ascoltavo, lo ricordo ancora, recitava così: "Ora, rici, c' on massaru 'i Muorica, appa' a ggiri a Ssarausa; m' 'a mmenza via 'u cielu si mis'a sscurari, e bbinìa 'na tamussciata rannìssima r' 'a parti 'i Muncipieddu. 'N putìa falliri, rici 'u massaru, assìra 'u suli si curcau n' 'o saccu, e cc'era l'uocciu r' 'a crapa. Runa punturati o mulu, cci attrant' 'a cuddana, e ni sta mentri va taliannu si bbirissi cocchi casa 'i massarìa, o puramenti ri mànnira. Potti passari, comu ricìssimu, un quartu, e scàrrica, Maronna Santissima! 'n timpieri r' acqua, ca 'gni stizza era 'na quartara, e llampi e ttrona ca 'u stissu mulu s' atturrurìa. 'U povru massaru, vagnatu comu 'n puddicìnu, nèssci a bulla 'i locasanti, e ssi cci 'ota ccu bbera firi. Ma l'acqua e i trona e i lampi cciù ri cciù, ca parìa 'u jiornu 'u ggiurìzziu:  O capiddu santu ri Maria! O san Giorgi cavaleri! O armuzzi biniritti! O san Cristoflu beddu! Ora pari ccà si ssiti miraculusi. Bih, cchi llampu! (…..) Bih, cchi truono!…. ecc. La lettura dell'improvvisato attore continuò coinvolgente sino alla fine, condita di tanto in tanto dalle risate degli ascoltatori.
Quel brano di S.A. Guastella lasciò un segno dentro di me, e studente di quinta ginnasiale, cercai e trovai una antica edizione del Vestru, che diventò per me una sorta di Bibbia che lessi e rilessi più volte, anche agli amici, quando se ne presentava l'occasione.
All'epoca, fuori dalla provincia di Ragusa, S.A. Guastella era conosciuto solo dagli addetti ai lavori, dagli Studiosi di Tradizioni popolari; a Modica, invece, e fortunatamente, dove S.A. Guastella insegnò, per oltre un ventennio, come docente di italiano presso il Liceo Classico T. Campailla, c'era gente che ne aveva sentito parlare per interposta persona. Raffaele Poidomani, per esempio, l'autore di Carrube e Cavalieri, mi parlò di un certo don Raffaele Criscione Bellomo che lo aveva conosciuto di persona, e che possedeva una copia di Nittu, che era ritenuta, e si ritiene, essere la prima redazione del Vestru, copia che oggi trovasi pubblicata in appendice al Vestru delle edizioni Thomson, 1973.
           Chiedendo notizie su S.A.Guastella, ritornava sovente una maldicenza: si raccontava che il barone Guastella era donnaiolo, che aveva le amante, le "mantenute" come si diceva allora; ed erano notizie importanti, se è vero quello che si dice ancora, che il Guastella avesse avuto anche dei figli naturali, e qualcuno di questi è considerato poeta alla stregua del padre.


E' possibile richiedere "Vestru" di Serafino Amabile Guastella, ed. Thomson, 1973, introduzione Gino Carbonaro € 10,00 (+ spedizione)

scrivendo a 

libreriaflaccavento.l@gmail.com  

riferimento Daniela La Licata,  Ragusa




[1] Strutturalismo: è teoria che sostiene come la parte è porzione di un insieme e come tale non può essere considerata singolarmente, avulsa dal contesto più ampio.
[2] Cultura in senso antropologico (e non solo): è tutto ciò che produce la mente in tutti i campi.
[3] Vestru: è diminutivo di Silvestro.
[4]  Apologo: è un racconto morale che educa su qualcosa.